Archivio mensile:dicembre 2011

Buon Natale

«Hai moltiplicato la gioia,
hai aumentato la letizia».

Da giorni risuona nella mia mente questa espressione del profeta Isaia che ascoltiamo nella notte di Natale. Gioia e letizia frutto della Sua iniziativa: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse». «Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio».

Parole ascoltate tante volte, ma l’esperienza di questo anno me le fa sentire particolarmente familiari. «Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia».

TU.

Se mi chiedo da dove nasca questo sentimento di gioia e di letizia che sento in me ho un’unica risposta, per ciò che ho visto accadere da quando due mesi fa in un momento di fatica ho sussultato davanti ad una frase: «Il Signore completerà per me l’opera Sua. Non abbandonerà l’opera delle Sue mani».

L’opera Sua, delle Sue mani non è appena quel che faccio, ma la mia stessa vita. Lui la completerà per me, la porterà a compimento. Del resto, come scriveva Michelangelo, «che poss’io, Signor, s’a me non vieni / con l’usata ineffabil cortesia?».

Com’è facile vivere la giornata come se tutto dipendesse da me, per assoggettare la realtà al mio progetto e dimostrare la mia capacità. Ma la/le crisi, la malattia, la morte mettono davanti alla verità: io non sono il padrone né della mia vita né del mondo, nemmeno del mio piccolo mondo, da me non dipendono né il vivere né il morire. Come ci ha insegnato don Giussani, la cosa più evidente è che in questo istante io non mi faccio da me, io sono Tu che mi fai.

L’esperienza di questi mesi mi ha reso evidente che proprio questo riconoscimento è la sorgente di una vera e inesausta costruttività. Ho verificato ancora una volta che non appena rialzo lo sguardo sulla Sua presenza, la realtà torna a parlarmi, ad essere piena di segni, di occasioni, di richiamo, di prospettiva, di amicizia. Non mancante, ma sovrabbondante.

Proprio la certezza di un Altro −. «La ragione umana porta insita l’esigenza di ciò che vale e permane sempre» (Benedetto XVI) − rispalanca la ragione, fa guardare tutto con una intelligenza nuova delle solite cose, come se una luce irrompesse a squarciare le tenebre: Caravaggio ha genialmente rappresentato questa dinamica.

Solo per questo posso affrontare le circostanze senza paura perché tutto è nelle mani di un Altro che è per il mio bene e io sono lieto di essere stato scelto a collaborare con Lui che è l’eterno lavoratore.

Non sono un visionario. Se guardo a cosa è accaduto nell’arco di cinquanta giorni, mi risulta evidente che i fatti accaduti hanno come unica spiegazione il mio «io» ridestato. È proprio come dice il Papa: «L’intelligenza della fede [lo sguardo su di sé e sulla vita generato dalla fede] diventa intelligenza della realtà» che attrae e muove all’azione, non per un’ansia realizzativa, ma per un fuoco ardente che vuole infiammare tutto: sei libri pubblicati, due in preparazione, un’intensa attività commerciale, il rilancio del network di librerie, la pubblicazione del nuovo sito itacaedizioni.it, il lancio della libreria Itaca, un’azione pubblicitaria e di comunicazione a livello locale e nazionale, nuovi investimenti. Al tempo stesso un rinnovato rapporto con i collaboratori, una reale amicizia con gli autori dei libri, come se tutto partecipasse di quell’«Amor che move il sole e l’altre stelle» per dirla con padre Dante.

In queste ultime settimane sono stato molto colpito dal lavoro per la realizzazione del libro Si può sperare in tempo di crisi? in cui circa quaranta tra imprenditori e responsabili di opere non profit della CDO Ravenna e Ferrara raccontano come stanno affrontando questo momento. È stato come se un’ondata di bene e di certezza avesse inondato la mia vita.

Il libro è uscito da pochi giorni, ma già molti soci mi hanno riferito che esso coglie il desiderio della gente di una parola di speranza, di vedere che per qualcuno la vita è positiva non per un volontaristico pensiamo positivo, ma per  «la coscienza del Mistero presente» che «rende la nostra vita un flusso continuo di novità».

Verificarlo nel lavoro e nella vita quotidiana dell’impresa, nel rapporto con la moglie e le figlie, è davvero fonte di letizia e di pace, come per i pastori che «se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto».

Dove questa novità accade la gente accorre, attratta da una luce attesa e desiderata, finalmente presente.

Con l’augurio che il Mistero del Natale sia per ciascuno fonte di luce, di grazia e di letizia.

 

Si può sperare in tempo di crisi? (2)

«In una società che vive una crisi economica, morale, educativa, della famiglia… quale speranza c’è? Per rispondere a una domanda come questa posso solo guardare opere come quelle della Casa: trovo in essa un modello per tutti, l’esempio di una ricerca per mettersi in relazione e di collaborazione concreta per superare una crisi così faticosa e dalla conseguente sofferenza economica. Unendosi per uno scopo è possibile affrontare i problemi, attraversare la tempesta.»

Chi scrive così nel contributo che compare nel libro Si può sperare in tempo di crisi? è Giuseppe Toschi, ex direttopre didattico, e oggi presidente dell’A.S.P. di Faenza, che da anni collabora con la Casa d’Accoglienza San Giuseppe Santa Rita di Castel Bolognese. Un giudizio realistico il suo.

Cosa fare, infatti, per uscire dalla crisi, che cosa può rimettere in moto? Guardando uomini, opere, imprese in cui il bene c’è. A forza di sentire notizie esclusivamente su ciò che non va o che manca, si finisce per identificare quelle parziali rappresentazioni con la realtà, «intossicandoci, perché il negativo non viene pienamente smaltito e giorno per giorno si accumula. Il cuore si indurisce e i pensieri si incupiscono» (Benedetto XVI).

Ma se c’è almeno un luogo, una persona, un’opera in cui il bene diventa evidente tanto da destare attrattiva in chi vi si imbatte, allora è possibile sperare.

Peraltro l’origine e la storia della Casa sono davvero emblematiche. Essa, infatti, è stata fondata da una donna, Novella Scardovi, che a ventotto anni si era ritrovata in preda ad una totale sfiducia verso l’esistenza. Fu la semplicità di un incontro umano a ridestare in lei la coscienza della positività e della bellezza della vita fino a desiderare «che altri potessero fare lo stesso incontro che aveva liberato me dall’angoscia. Sapevo bene per esperienza personale come fosse drammatica la solitudine e quanto profondo fosse il bisogno dell’uomo».

Così è diventata appassionata costruttrice innanzitutto di rapporti umani, ha condiviso i bisogni di centinaia di persone, fino alla costruzione della Casa, avvenuta diciannove anni dopo quell’incontro. Attraverso di lei tanti sono stati sostenuti nelle difficoltà della vita e sono rinati alla speranza: non a caso il suo nome riaffiora in diverse pagine del libro. Sarebbe interessante chiedersi quanta energia, quanto bene, quanta bellezza siano stati destati dal cuore vibrante di questa donna e di quanti con lei prima hanno collaborato alla costruzione della Casa e poi ne hanno proseguito l’opera.

Come il libro ampiamente documenta è l’io il fattore decisivo per affrontare e andare oltre la crisi: come potrà esserci ripresa economica senza ripresa dell’umano, se non si accende il desiderio di verità, di bellezza, di giustizia, di amore, di costruttività, di utilità del vivere che costituisce il cuore, la natura profonda di ogni uomo?

Per questo abbiamo messo a conclusione della seconda parte due esperienze le quali documentano che è possibile un nuovo inizio anche dopo una profonda crisi, personale o aziendale, che addirittura la vita può riprendere molto più vera di prima e l’azienda crescere più solida, perché dove l’umano rinasce tutto acquista un ordine, una verità, una bellezza prima sconosciuti. Ma appunto occorre uno sguardo umano, un’amicizia, un terreno buono dove l’io sia custodito e nutrito, come un seme destinato a diventare un albero che porta frutto e alla cui ombra è possibile riposare.

Si può sperare in tempo di crisi?

Ho appena mandato in stampa – uscirà venerdì – il libro Si può sperare in tempo di crisi? dove sono raccolte interviste e testimonianze di imprenditori e responsabili di opere non profit i quali raccontano come stanno vivendo questo difficile momento.

L’idea di questo libro è nata a seguito del documento pubblicato da Comunione e Liberazione, La crisi sfida per un cambiamento. «La crisi è un dato» vi si legge. «È irrazionale pensare che basti essere contro qualcuno per sconfiggere la crisi, peggio ancora è negarne l’esistenza. È il contrario di quella tradizione ebraico-cristiana per la quale la realtà è percepita come ultimamente positiva, anche quando mostra un volto negativo o contraddittorio.

La realtà, infatti, ci rimette continuamente in moto, provocandoci a prendere posizione di fronte a ciò che accade.

Questa consapevolezza ha costruito la storia millenaria dell’Occidente. E a dispetto di ogni dualismo o manicheismo – per cui il male è sempre da una parte e il male sempre dall’altra –, ha permesso di costruire il futuro proprio accettando le sfide della realtà, rispondendo ad esse con intelligenza, creatività e capacità di sacrificio.»

Non appena lessi queste parole mi vennero subito in mente i soci della Compagnia delle Opere di Ravenna e Ferrara, di cui conoscevo la ricchezza umana e l’intelligenza imprenditoriale, e pensai che sarebbe stato interessante chiedere loro come stavano affrontando questa circostanza così da verificare sul campo se quanto scritto in quel documento, «La realtà è positiva perché mette in moto la persona», fosse una affermazione astratta, fuori della realtà o, per qualcuno almeno, una esperienza.

Da mesi i dialoghi tra le persone come la comunicazione sui mass media avevano un unico contenuto, la crisi e le sue conseguenze, con un inevitabile effetto depressivo, insopportabile a livello psicologico e paralizzante a livello operativo: laddove prevalgono lamento e disperazione, quale novità può accadere? E se non accade una novità, potrà mai esserci una ripresa?

L’obiettivo che mi proponevo era documentare esempi di costruzione in atto, così che si potesse dare voce alla speranza non come un fatalistico «speriamo» o un irragionevole «pensiamo positivo», privo di fondamento, perciò illusorio, ma alla speranza come esperienza di un bene presente, di una roccia su cui sono poggiate le fondamenta della propria casa per cui, pur provata dalla tempesta, resiste a differenza di quella costruita sulla sabbia.

Pensavo che mi sarebbero arrivati pochi contributi: ne ho raccolto una quarantina, Pur essendo quasi esclusivamente di area romagnola, essi assumono un valore paradigmatico come documentazione del fatto che nel nostro Paese esistono tantissime persone che, per citare ancora il documento di CL, «non si lasciano trascinare dal flusso delle cose, ma remano controcorrente anche a costo di sacrifici», persone «che si sono rimesse in azione senza aspettare che altri – sempre altri – risolvano i problemi. Non potendo cambiare tutto subito, hanno cominciato a cambiare loro.»

Non per una sorta di giogo imposto dalle circostanze e amaramente subito – questo l’aspetto che mi ha sorpreso sopra tutti –, ma con una gratitudine fino alla letizia che trapela nei loro racconti per essere stati sfidati dalla realtà a rimettersi in gioco, ad allargare gli orizzonti, a ripensare il rapporto con i collaboratori, i clienti e i fornitori, l’organizzazione interna, le strategie, a innovare il prodotto, a muoversi per cercare nuovi mercati a livello nazionale o all’estero. Da questa crisi – c’è da esserne certi – il tessuto economico del nostro Paese uscirà rinvigorito.

Il nuovo libro di Franco Nembrini su Dante

Sto mandando in libreria “Dante, poeta del desiderio” un cliclo di conversazioni su Dante che Franco Nembrini ha tenuto nel 2010 su invito dell’Associazione Oblò di San Paolo d’Argon.

Lui stesso racconta che la sua passione per Dante nasce a dodici anni mentre trasporta casse di bottiglie lungo le scale di una cantina, folgorato dal verso «E proverai […] come è duro calle/lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale».

Attraverso quell’esperienza intuisce che Dante è “uno di noi”, un uomo appassionato al suo destino, leale col proprio desiderio di vita e di felicità e perciò impegnato con le grandi questioni che la vita pone a ogni uomo: il problema di voler bene alla donna, di sapere perché si muore, perché c’è tanto dolore, e che cosa voglia dire avere degli amici ed essere fedele a degli amici, e il perché del mangiare e del bere, e il sapere della verità e della menzogna, del bene e del male.

Il tema della Divina Commedia è la possibilità che la vita sia salvata, che possa essere il compimento del proprio desiderio, della propria sete di felicità.

Un modo assolutamente originale e persuasivo di accostare la Divina Commedia, comprensibile a chiunque, per intraprendere con Dante il viaggio verso «un bene […] nel qual si queti l’animo».

Una lettura che in questi tempi dove abbondano lamento e tristezza fa venir voglia di rimettersi in cammino.