“Quello che l’uomo cerca nel piacere è un infinito, e nessuno rinuncerebbe mai alla speranza di raggiungere questo infinito” (Cesare Pavese).
In effetti ciascuno di noi vuole essere felice. Anche attraverso forme violente, insensate o esasperate, l’uomo cerca la felicità, vuole sentirsi pieno, soddisfatto, inebriato: desidera l’infinito.
Fatto per l’infinito, egli si trova però a fare i conti con il suo essere finito; non solo: tutta la realtà gli appare finita. Di qui delusione, noia, scetticismo, cinismo: se la vita è destinata al nulla, non c’è niente per cui valga la pena spendersi. Non resta che (se e finchè è possibile) cogliere l’attimo fuggente: carpe diem!
E’ questo il sentimento che sta invadendo le nostre esistenze e la società intera, che, in fondo, non valga la pena, tanto… Meglio vivere per se stessi, indifferenti al destino l’uno dell’altro: “Son forse io il custode di mio fratello?”.
Il carpe diem ha un prezzo: la rinuncia al desiderio, “alla speranza di raggiungere questo infinito”. Il trionfo del nulla ha come terreno la trascuratezza fino alla dimenticanza di sè.